Non ci si aspetti il rigore o la coerenza d'una mostra organicamente
concepita, ma anche al primo impatto, almeno il Salone della 148a
edizione dell'antica Promotrice «tiene»: ed è già molto per queste
rassegne sociali. Ci saranno le delusioni dei rifiutati se in oltre
cinquecento hanno mandato quasi 800 opere, per farsi ridurre a 364
con 535 pezzi in mostra: decisamente ancora troppi, se nelle ultime
sale si fa fatica a scovare qualcosa capace - in quel lazzaretto - di
riscattare intere pareti di pittoriche velleità. Per l'occhio diventano
come oasi in un deserto: dal «Giardino d'inverno» di Balma, ai
meccanicismi da Luna Park dei due «Martinuzzi», dalle severe
allusioni nucleari di Caty Torta alla variata ricerca geometrica di
Antonio Bertone. Si metteranno con questi, naturalmente, anche il
suggestivo, «Sentierio» di Zopolo e gli spiritosi gatti-leoni di Elsa De
Agostini, o l'estroso «Duetto spaziale» del marito, Marco Regge, la
decorativa parata animale dell'«Attesa» di Egle Scroppo e soprattuto il
vigoroso impianto del «Sogno» di Mimì Schieroni, o il meditativo
assemblaggio.
Ma perché non esporre nel salone l'ampio polimaterico de «Lo stallo»
di Vannetta Cavallotti che gli avrebbe dato un più impegnativo risalto?
La strada da percorrere è stata, tuttavia, imboccata: ed è quella della
selezione, per puntare sulla qualità. Che le opere si possano godere
da lontano, come il tessuto cromatico di «Maghreb» di Cazzola, come
l'«Aria» di Carena o l'inquietante «Natura viva flash», quasi graffita da
Ettore Racca, o vadano osservate nei più fini passaggi di colore come
le piccole, preziose tele di Lea Gyarmati, possono semmai suggerire
un più dosato ordinamento. Una mostra d'arte è pur sempre una
testimonianza culturale e sarebbe appena giusto favorirne la miglior
fruizione, esplorando con, e attraverso, gli espositori, linee di ricerca e
tendenze, mentre qui ci si limita a distinguere le tecniche, dedicando
qualche sala all'incisione (che offre sempre del buono) o all'acquerello
(Proverbio, Avigdor, Luraschi), ma il lavoro ceramico di Igne non lega
con il vicino «Balcone» di Grosso.
Bisognerà quindi prenderli come vengono: il rugginoso fondo materico
della tela di Marghe Rosso, le «Pagine» della Ceriana Mayneri, i
«Frammenti di dialogo» della Savanco e l'ardito «Spazio del nero» di
Zanello. Come in una mostra-campionaria dove Ie rigorose strutture
d'acciaio e fòrmica di Sesia possono possono trovarsi in linea col
divertimento plastico della «Papera» di Laganà.
Buona l'idea di ricordare i soci scomparsi con piccole personali: Da
Milano e Micheletti con Pontecorvo. Solavaggione e Corbelli, Baretta e
Carlino, Selis e Nelva (toccherà poi anche a Martelli e Nuzzolese): ma
sembra essersi perso il gusto di dare qualche maggior spazio anche
al maestro vivo, o al giovane promettente.
Angelo Dragone
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